martedì 21 ottobre 2008

ADDIO COMPAGNO FOA e MILLE GRAZIE

Quando il mese scorso Vittorio ha compiuto 98 anni, il manifesto ha ripubblicato la frase finale della sua intervista a Loris Campetti del primo maggio del 2007: «...Ai giovani direi: pensate alla politica che è un pezzo decisivo nella vita delle persone, ma non è tutto. Allora pensate anche ad altro, e soprattutto pensate agli altri. Pensare agli altri è già una prospettiva di vita». L'intervista toccava il punto del concerto del sindacato in Piazza S. Giovanni a Roma. Non era forse un cedimento ai suoi occhi di vecchio organizzatore sindacale? Ma no diceva Vittorio, la musica dei giovani è molto importante; è felicità e vita. Vittorio che era quasi del tutto sordo e vedeva solo ombre, capiva e apprezzava un concerto rock meglio di tanti altri. Per lui del resto era facile: era giovane, anzi i giovani, generazione dopo generazione, erano sempre suoi coetanei.Da giovane, a 25 anni, era finito in carcere per due articoli pubblicati sui Quaderni di giustizia e libertà sull'Iri, la Stet e i poteri economici privati. Ogni 15 giorni, dal carcere, si poteva scrivere una lettera che passava per la censura prima di arrivare ai destinatari Le «Lettere dalla giovinezza di Vittorio», raccolte e ordinate da Federica Montevecchi, sono una straordinaria narrazione della vita del carcere, le letture, le speranze, la grande politica. Dal carcere, stretto nelle maglie della censura, questo ragazzo capiva gli avvenimenti e li riusciva a spiegare, con una punta di ironia, anche. Il fascismo, la guerra di conquista contro l'Etiopia, le leggi razziali, la guerra europea: tutto passa sotto la lente delle lettere dal carcere. Quando anni dopo - racconta Foa - qualcuno gli chiederà di aderire a un'associazione di perseguitati, egli si rifiuterà e alla sorpresa dell'interlocutore spiegherà che in realtà era lui ad avere perseguitato il fascismo, tanto che per difendersi lo avevano dovuto scaraventare in carcere. Difficile ricordarlo oggi, ma Vittorio era davvero capace di capovolgere, con allegria, sempre, i punti di vista e così liberava molte verità, quelle che nessuno osava dire. Intellettuale, cospiratore, prigioniero politico, capo della resistenza, costituente, deputato, senatore, uomo di partito, saggista, condirettore del manifesto, professore universitario, storico; tutto fatto con il massimo impegno, ogni volta. Vittorio però parlava di sé come organizzatore sindacale. Il sindacato era la sua vera missione: ufficio studi della Cgil, poi la Fiom - e a Torino dopo la sconfitta alla Fiat - e di nuovo al centro, con Giuseppe Di Vittorio e poi Agostino Novella nella segreteria della Cgil. Sono in molti a ricordare ancora quando Vittorio decise nel 1968 di non ripresentarsi in parlamento. I maggiori sindacalisti allora erano anche parlamentari, perché il mandato parlamentare li difendeva meglio. Il ricordo della dittatura era ancora recente. Inoltre i sindacalisti erano allora molto popolari e i partiti chiedevano con forza la loro presenza. In brevi anni, anche gli altri sindacalisti che pure l'avevano criticato, decisero che era giusto fare così e l'incompatibilità divenne regola generale. Ma l'unità sindacale che allora fu realizzata dai metalmeccanici, rimase per sempre un'aspirazione, sempre una meta lontana da raggiungere.Anno forte, il sessantotto. Su imitazione di quello che avveniva a Parigi, a Milano si occupò la Triennale, nella sera in cui arrivava per un discorso Serge Mallet, celebrato autore della «Nuova classe operaia». Fu lì che vidi la prima volta Vittorio in azione. L'avevo conosciuto la mattina, di quel giorno, nell'ufficio di Gastone Sclavi alla Cgil di Corso di Porta Vittoria. Mi era difficile accettare che una persona tanto importante facesse una cosa tanto irregolare, una tipica attività da lasciare ai giovani. Appunto. Vittorio, anche allora, ma lo ho capito dopo, era molto più giovane di me. Un'altra innovazione di Vittorio fu quella di andarsene dal sindacato una volta compiuti i sessanta anni. Questo accadde nel 1970. Non era più parlamentare, non era neppure sindacalista; il suo partito, il Psiup, soprattutto dopo i carri sovietici a Praga che Vittorio aveva avversato - tanto nella Cgil che nel partito - non era più un luogo per un lavoro politico; tanto più che il mondo, dopo il biennio 68-69 era cambiato parecchio. I giovani pretendevano altro. E come rinunciò per primo alla medaglietta parlamentare, così a sessant'anni, per primo, si cercò un lavoro. Cominciavano gli anni dell'Università, a Modena. Improvvisamente la facoltà di Modena «Economia e Commercio» divenne un punto di riferimento di tutto il pensiero non neoclassico. Tutto il nuovo passava di lì. Per una volta un'università italiana non si sentiva marginale e tutto sommato inutile. Vittorio era probabilmente il punto di riferimento, certo al di là della sua volontà,. Molti studiavano e scrivevano in funzione di quello che egli avrebbe detto o replicato. Era il maestro, se mai ce ne fu uno.Via da Modena, finita la stagione della politica, Vittorio che si candida e diventa deputato a Torino e Napoli per Democrazia proletaria, allora cartello disagiato delle nuove sinistre, ma con l'impegno a dimettersi subito, a favore di due subentranti. Poi gli anni della «Gerusalemme», forse il principale libro di storia di Vittorio, dedicata al movimento operaio inglese. Poi gli anni del silenzio, un biennio, a cavallo del 1980 in cui si è imposto di tacere; e naturalmente è un tempo adatto ad ascoltare gli altri.Poi gli anni recenti, tanti libri, Formia come porto tranquillo, ancora la Cgil all'ufficio studi, per cercare di capire l'involuzione del capitale, ancora il Parlamento. E un po' di pace, rotta da un turbinio di amici, conoscenti, parole, letture, discussioni. Un tempo sereno.Un tempo sereno di cui noi tutti che ne abbiamo approfittato dobbiamo ringraziare Sesa, la moglie di Vittorio; e Anna, Renzo, Bettina i figli di Vittorio e Lisa che hanno generosamente diviso con noi il prezioso tempo di Vittorio Foa.
"IL MANIFESTO - 20/10/2008"

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