È possibile ravvisare delle costanti antropologiche negli eroi, ma è certo che questi nel tempo hanno assunto spesso caratteristiche diverse. Il Che, ad esempio, non è un eroe classico perché non ha parentele con antenati divini.
Non è un eroe medievale perché non è fedele ad un re. Non è un eroe romantico perché la sua vita non è basata solo sullo spirito. Non è un eroe moderno perché la sua azione non si fonda sul sapere. È un eroe storico perché ha compiuto imprese documentate dagli uomini. È un eroe naturale perché simboleggia il sole che lotta contro l'oscurità. È un eroe morale perché rappresenta la lotta dell'uomo contro se stesso. È un eroe universale perché non lotta per la patria, ma per l'umanità. È un eroe tragico perché la sua nobiltà d'animo e i suoi ideali puri lo conducono ad una morte prematura. . Sul piano dell'etica, il Che somiglia più ad un santo che ad un eroe. Nessun altro individuo è riuscito ad incarnare in modo così completo ed esemplare la mentalità e la sensibilità dell'uomo cristiano. Egli appare come una figura ideale, modello di virtù superiori, emblema dell'amore disinteressato per l'umanità.
La sua figura crea gravi conflitti alle coscienze lacerate e inaridite dei suoi contemporanei, dai quali è nel contempo temuto e amato. Temuto perché rimprovera loro di vivere in un modo innaturale e perché mette in discussione l'ordine delle cose; amato perché combatte quelle norme che snaturano l'essere e mette in luce valori essenzialmente umani.
Il rivoluzionario argentino è un eroe epico e tragico, un esempio di speranza e di sconfitta. Il Che che, insieme alla sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara e che poco dopo arriva come un liberatore all'Avana, è un eroe epico. È tale perché i suoi ideali non sono legati alla morte, ma alla vita, perché dopo un lungo isolamento sulle montagne, ritorna nella società dove porta un soffio di fiducia e di felicità, perché al suo nome e a quello di altri compagni sono legate imprese eroiche e leggendarie, perché la rivoluzione cubana ha segnato un'epoca e si iscrive nella memoria storica come un evento grandioso. Il Che, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana e colpito a morte nella scuola di Higueras, è un eroe tragico. È tale perché la sua vita è contrassegnata da un crescendo di sofferenze, perché consapevolmente va incontro al suo destino, perché insieme a lui muoiono i grandi ideali per cui si era battuto, perché la sua è una nobile morte.
Non è un eroe medievale perché non è fedele ad un re. Non è un eroe romantico perché la sua vita non è basata solo sullo spirito. Non è un eroe moderno perché la sua azione non si fonda sul sapere. È un eroe storico perché ha compiuto imprese documentate dagli uomini. È un eroe naturale perché simboleggia il sole che lotta contro l'oscurità. È un eroe morale perché rappresenta la lotta dell'uomo contro se stesso. È un eroe universale perché non lotta per la patria, ma per l'umanità. È un eroe tragico perché la sua nobiltà d'animo e i suoi ideali puri lo conducono ad una morte prematura. . Sul piano dell'etica, il Che somiglia più ad un santo che ad un eroe. Nessun altro individuo è riuscito ad incarnare in modo così completo ed esemplare la mentalità e la sensibilità dell'uomo cristiano. Egli appare come una figura ideale, modello di virtù superiori, emblema dell'amore disinteressato per l'umanità.
La sua figura crea gravi conflitti alle coscienze lacerate e inaridite dei suoi contemporanei, dai quali è nel contempo temuto e amato. Temuto perché rimprovera loro di vivere in un modo innaturale e perché mette in discussione l'ordine delle cose; amato perché combatte quelle norme che snaturano l'essere e mette in luce valori essenzialmente umani.
Il rivoluzionario argentino è un eroe epico e tragico, un esempio di speranza e di sconfitta. Il Che che, insieme alla sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara e che poco dopo arriva come un liberatore all'Avana, è un eroe epico. È tale perché i suoi ideali non sono legati alla morte, ma alla vita, perché dopo un lungo isolamento sulle montagne, ritorna nella società dove porta un soffio di fiducia e di felicità, perché al suo nome e a quello di altri compagni sono legate imprese eroiche e leggendarie, perché la rivoluzione cubana ha segnato un'epoca e si iscrive nella memoria storica come un evento grandioso. Il Che, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana e colpito a morte nella scuola di Higueras, è un eroe tragico. È tale perché la sua vita è contrassegnata da un crescendo di sofferenze, perché consapevolmente va incontro al suo destino, perché insieme a lui muoiono i grandi ideali per cui si era battuto, perché la sua è una nobile morte.
LA MORTE
Ernesto Che Guevara viene fatto prigioniero l'8 ottobre del 1967 è portato nella scuola di La Higuera in cui rimane fino al 9 mattina; venne informato dell'arresto il Presidente della Bolivia, che alle nove di sera si reca dall'ambasciatore degli Stati Uniti a La Paz e alla sua presenza telefona a Washington: la risposta fu che il Che doveva morire e subito, perché costituiva un grave pericolo per gli interessi degli Stati Uniti e della Bolivia. I motivi? L'opinione pubblica internazionale si sarebbe potuta mobilitare, gruppi di comunisti fanatici avrebbero potuto cercare di liberarlo e la Bolivia si sarebbe agitata. Era preferibile la sua morte, la sua distruzione totale. Un duro colpo per Cuba e per i movimenti rivoluzionari dell'America Latina, dissero! Decisero quindi di ucciderlo. Félix Ramos era un traditore, di origine cubana, agente della Cia, e partecipò all'uccisione del Che. I testimoni dissero che quando cercarono d'interrogare il Che usando la violenza, fu proprio lui che gli strappò parte della barba. Il Comandante, come suo solito, si ribellò; gli legarono le mani prima davanti e poi dietro, e il Che sputò in faccia proprio a Félix Ramos. In una delle foto che gli fecero prima di ucciderlo, si vede chiaramente che una parte della sua famosa barba gli era stata strappata. Gli spararono all'una e dieci del giorno 9.
Nel pomeriggio il cadavere venne trasportato a Valle Grande nell'ospedale Señor de Malta, dove gli tagliarono le mani per permettere ai periti argentini di fare le prove dattiloscopiche. Gli agenti della Cia volevano tagliargli anche la bella testa per inviarla negli Stati Uniti, ma i medici di Valle Grande si opposero e il cadavere venne dapprima esposto a Valle Grande e poi sepolto in un luogo segreto, in una fossa comune, nei pressi dell'aeroporto di quella città.
Nel ventesimo anniversario della sua morte i giovani boliviani gli hanno fatto omaggio a La Higuera e hanno scoperto un busto alla sua memoria. Fra di loro c'era anche il figlio del militare che dirigeva la compagnia che aveva catturato il Che. Nel luogo dove l'avevano barbaramente ucciso, dentro e fuori dalla scuola, i contadini hanno collocato anche alcune pietre su cui accendono candele e mettono fiori. Nell'ospedale, uno dei lavoratori più anziani aveva conservato tutti gli strumenti con cui avevano fatto l'autopsia al Che: alcuni di questi oggetti si trovano oggi nel museo di Santa Clara a lui dedicato, e altri nel museo della Rivoluzione a La Habana. I boliviani hanno donato ai cubani anche la barella con cui il Che venne portato da La Higuera a Valle Grande. La barella era stata conservata dalla stessa persona che lo aveva accolto all'ospedale. In seguito, girò la voce che lo avessero cremato e disperse le ceneri, ma non era vero: la scomparsa del cadavere del Comandante ha accresciuto negli anni il mistero attorno alla figura del grande rivoluzionario. La località della sepoltura è rimasta sconosciuta fino a luglio del 1997, quando un gruppo di ricercatori ha identificato il cranio e alcune ossa del Comandante, sepolto in una fossa comune assieme a sette compañeros, a Valle Grande, circa 150 miglia a sud-est di Santa Cruz. Un ritrovamento reso possibile da Mario Vergas Salinas, un generale in pensione dell'esercito boliviano, che nel 1995 ha scelto di porre fine al silenzio imposto a riguardo della sepoltura del Che. E reso possibile anche grazie lalla testimonianza di Gustavo Villoldo, l'uomo che inseguì e catturò Guevara in Bolivia, e che ne ordinò la sepoltura segreta per evitare che i resti diventassero un monumento alla rivoluzione comunista cubana.
RITORNO "A CASA"
I resti del Che sono stati traslati a Cuba, più precisamente a Santa Clara: il 17 ottobre 1997 è stata una data memorabile per la città cubana, quasi un nuovo ingresso trionfale del Comandante: cori di bambini, 21 salve di cannone, picchetto d'onore e accensione di una fiamma perpetua sulla nuova tomba del Che da parte di Fidel Castro. Oltre centomila persone hanno visitato il nuovo mausoleo in cui sono conservati i resti del Comandante, nei soli primi due giorni di "ritorno a casa". Tra i visitatori più illustri, anche papa Giovanni Paolo II che, in occasione del recente e storico viaggio nell'isola caraibica, ha voluto rendere omaggio alla tomba del Che.
Così, dopo anni in cui si era creduto di tutto - dall'impossibilità di accettare la notizia dell'uccisione del Che, al trafugamento del suo corpo, alla cremazione dei resti, al lancio del corpo stesso da un elicottero in volo sulla foresta boliviana per evitare che fosse trovato - finalmente il Che ha avuto sepoltura certa a Santa Clara. E il mito continua.
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