giovedì 30 ottobre 2008

FINALMENTE CI SIAMO

Il 30 ottobre è sciopero generale della scuola, dell’università e della ricerca. Si tratta di uno sciopero senza precedenti per la sua entità, per il momento in cui si verifica, per gli obiettivi che si pone, per il consenso che lo caratterizza. Esso vedrà sfilare uniti, a Roma, insegnanti, studenti, ricercatori, genitori, docenti universitari, lavoratori, cittadini. Difenderanno il diritto all’istruzione, alla conoscenza, la libertà del sapere, cioè il futuro del Paese. Diritti che la destra, perseguendo un progetto reazionario che non ha precedenti nella storia d’Italia, vuole cancellare in quanto fondanti della democrazia e dell’uguaglianza fra i cittadini. I Comunisti italiani sono con questo sciopero e con questa grande mobilitazione. Il 30 ottobre (l’altra scadenza importante fu il 17 scorso) costituirà un importante punto di arrivo e di ripartenza di un movimento per la scuola e l’università pubbliche che nel volgere di quaranta giorni ha assunto dimensioni e caratteri senza precedenti. E’ un movimento grande, unitario, responsabile creativo e intelligente, pacifico, geloso della propria autonomia, fortemente determinato. Sono questi caratteri che gli consentono di estendersi, di propagarsi in tutto il Paese con una rapidità del tutto inusuale ed inaspettata. E’ un movimento, una mobilitazione che va dalle scuole e dalle università occupate, alle manifestazioni sempre più partecipate che ormai quotidianamente si svolgono in tutte le città italiane, alle lezioni tenute nelle piazze, nei giardini, nelle scuole e rivolte a tutti i cittadini, a pacifiche azioni dimostrative, alle delibere dei Senati Accademici delle università, agli ordini del giorno votati spesso in modo unanime dai Collegi dei Docenti nelle scuole, alle delibere di innumerevoli Consigli comunali e provinciali di tutta Italia, ai ricorsi di numerose Regioni alla Corte Costituzionale. Siamo di fronte a un movimento unito come mai prima era accaduto, ad un movimento capace di comunicare e di porsi in positiva relazione con la società. Ciò perchè uno straordinario obiettivo di portata storica accomuna questo movimento: quello di tenere aperta per le giovani generazioni e per l’intera società la speranza del futuro garantendo a tutti il diritto all’istruzione, alla cultura, al sapere. Lo stesso diritto, la stessa speranza che la destra vuole chiudere alla grande maggioranza dei giovani del nostro Paese. Lo fa deliberatamente, cinicamente. Con un semplice Decreto (divenuto poi uno dei cento articoli di una legge finanziaria) abbassa (unico paese al mondo!) l’obbligo di istruzione da 16 a 14 anni di età, opera tagli tanto pesanti di risorse e personale alla scuola, all’università da impedirne il normale funzionamento; riduce del 20% l’orario scolastico obbligatorio per i bambini dai tre ai dieci anni e in tutti gli ordini di scuola, ripristina il maestro unico, colpisce la scuola e l’università nelle loro parti migliori senza ipotizzare alcun atto di riforma del molto che non funziona, prevede la privatizzazione di scuole e università statali trasformandole in fondazioni. Alla fine: dai tre anni di età i bambini verrebbero discriminati nell’accesso a scuole qualificate e la maggioranza dei ragazzi sopra i quattordici anni verrebbe privata della possibilità di frequentare con successo la secondaria superiore, la Repubblica cesserebbe di essere garante del diritto all’istruzione e al sapere per tutti. Un’opera di smantellamento e di sovvertimento della scuola e dell’università pubbliche finalizzata a realizzare una società dell’ignoranza che dia basi stabili ad un regime autoritario e della disuguaglianza. Questa è la storica posta in gioco oggi, questo il disegno reazionario che bisogna in ogni modo fermare. Il disegno della destra non è riuscito a passare nella scuola e nella società nonostante i decreti, le leggi, i piani attuativi imposti con colpi di mano indegni della nostra democrazia costituzionale, nonostante le continue intimidazioni contro chi si mobilita e lotta, nonostante le intenzioni “similgolpiste” di mandare la polizia nelle scuole e nelle università subito bloccate dall’unitarietà e dalla vastità del movimento. La battaglia è tutta aperta. Sarà una battaglia lunga e difficile soprattutto in una fase di gravissima crisi economica che la destra cercherà di far pagare ancora una volta ai lavoratori e ai meno abbienti. Ma è possibile vincere. Anzitutto perché quella per il diritto al sapere, per la scuola e l’università pubblica si sta rivelando come una battaglia sempre più forte e condivisa potenzialmente capace di coinvolgere l’intera società. Inoltre perché, in questo contesto, il movimento, la sinistra, i comunisti si stanno dimostrando in grado di avanzare un progetto contrapposto a quello della destra: l’investimento nel sapere come garanzia per il futuro delle giovani generazioni, come via per uscire dalla crisi, per riattivare processi di trasformazione e sviluppo della società; il no al finanziamento alla scuola privata; il reperimento di risorse dalle spese per le armi (via finalmente dall’Afghanistan!) e dall’evasione fiscale; l’obbligo di istruzione gratuito fino a 18 anni; proposte credibili di atti di riforma per realizzare la scuola di tutti, progetti condivisi di riforma dell’università. Questo si sta anche rivelando il movimento che è nato e sta crescendo: una straordinaria palestra di mobilitazione, di confronto democratico, di elaborazione, di progettualità per affermare il diritto inalienabile al sapere e la sua libertà quale base imprescindibile della democrazia e dell’uguaglianza fra i cittadini. Per queste ragioni i Comunisti italiani sono nel e con il movimento nel totale rispetto della sua autonomia, per queste ragioni sono in piazza e in sciopero il 30 ottobre.
«È una manifestazione straordinaria che ci dice una cosa semplice, e cioè che il movimento c’è e nel momento in cui c’è questo movimento può riprendere un’opposizione seria contro un governo scellerato che quando taglia sulla scuola taglia sul futuro dell’Italia». A dichiararlo Oliviero Diliberto partecipando allo sciopero generale e al corteo contro la riforma della scuola indetto dai sindacati Flc-Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals e Gilda
Una nuova grande manifestazione di dissenso ed opposizione contro la politica di tagli del Governo dopo lo sciopero generale del 17 ottobre scorso organizzato dal sindacalismo di base. Un corteo di oltre 1 milione di lavoratori e studenti sta sfilando da piazza della Repubblica a piazza del Popolo, in cui confluiranno anche gli universitari che vengono dalla Sapienza. Una moltitudine di persone che hanno riempito a tal punto piazza della Repubblica, mentre la testa del corteo era già arrivata a piazza del Popolo, che la manifestazione si è divisa in altri due grandi filoni, autorizzati all'ultimo momento dal questore, uno che sfilava per via Nazionale, l'altro per via Cavour, paralizzando Roma. Tutto ciò mentre continuano ad arrivare ancora pullmann e treni carichi di manifestanti provenienti da tutta Italia, da Bassano del Grappa a Trapani. Tanti gli slogan e gli striscioni contro il governo e soprattutto controil ministro Gelmini, da “tutti insieme per la scuola di tutti”, a “meno insegnanti più bambini ignoranti”, a “Gelmini, nuoce gravemente alla scuola”, fino a uno striscione dei ricercatori con su scritto “a saperlo facevo l'idraulico”.
Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, è una giornata memorabile per la capacità di solidarietà ed unità che è riuscita a produrre questa mobilitazione fatta di migliaia di persone che, a differenza di quanto sostiene il Governo, non sono oggetto di nessuna strumentalizzazione. «La legge è fatta di una parte consistente di tagli, 8 mld, e questo accade mentre in tutto il mondo oggi si investe per l’istruzione. In questa maniera si tagliano risorse ma non si riforma la scuola», continua Epifani attaccando nel merito i provvedimenti che non contengono nessun progetto riformatore. Dal palco di piazza del Popolo il leader della Cgil informa che Roma è attraversata da 4 cortei, «piazza della Repubblica si svuota e si riempie in continuazione. In tutta Italia sono in corso manifestazioni: è un intero Paese che insorge». In apertura lo striscione «Uniti per la scuola di tutti», centinaia le bandiere e i palloncini colorati per uno sciopero che ha coinvolto tutta Italia, unendo studenti, delle scuole medie e superiori e delle università, ed insegnanti, tantissimi in piazza, così come i bambini delle scuole elementari e le associazioni dei genitori. «La manifestazione di oggi testimonia che tutto il mondo della scuola è contro questa riforma ed il governo dovrebbe ascoltarlo», ammonisce il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero dalla piazza. E ribadisce che si tratta di «una protesta che andrà avanti insieme con la raccolta delle firme per il referendum contro la riforma Gemini». Insieme con i Comunisti italiani, l'Idv e il Pd che lo ha lanciato e il cui leader Veltroni oggi era presente alla manifestazione. Tra i partecipanti anche Antonio Di Pietro che si è detto pronto, dopo il lodo Alfano, ad iniziare un’altra raccolta di firme contro la riforma Gemini perché «giustizia e istruzione sono settori fondamentali per la democrazia».Tante le adesioni, da Unicobas-Altrascuola alla Federazione dei sindacati indipendenti (Fsi-Usae), dai Comitati degli insegnanti precari (Cip) ai metalmeccanici della Fim Cisl, ma anche dall’Arci, da Legambiente, dalla Federconsumatori, da Cittadinanza attiva e da molteplici associazioni impegnate nella scuola.
Al termine degli interventi a piazza del Popolo un fiume di migliaia di studenti si è staccato dalla manifestazione e al grido "Dimettiti, dimettiti" ha preso d'assedio il ministero della Pubblica Istruzione, invitando Maria Stella Gelmini a dimettersi dall'incarico.

mercoledì 29 ottobre 2008

La destra che NON cambia

Un attacco squadrista totalmente ignorato dalla polizia che è sfociato poi a piazza Navona in uno scontro con un gruppo di militanti di sinistra
Roma, mentre il Senato converte in legge il decreto Gelmini, gli studenti sono in piazza sotto Palazzo Madama a manifestare. La tensione sale questa volta non con la polizia ma con gli appartenenti al Blocco Studentesco, gruppo di cui fanno parte studenti di estrema destra. Infatti come già era successo nei giorni scorsi provano a prendere la testa del corteo con la forza arrivando questa volta con un camoincino pieno di bastoni e spranghe che non tardano ad utilizzare. Ci rimette un ragazzino che circondato viene picchiato, tutto sotto gli occhi delle forze dell'ordine, non poche dato che ci troviamo davanti al Senato.Ma non basta, l'aggressione squadrista non si ferma e il camioncino in tutta tranquillità raggiunge una piazza Navona piena di studenti, mentre il corteo in arrivo dalla Sapienza viene bloccato dalla polizia. Ma alla spicciolata questi ultimi entrano anche loro nella piazza dove trovano i componenti del Blocco Studentesco armati di mazze e bastoni tricolori che attaccano. Ovvio lo scontro e le botte, lento, molto lento l'intervento delle forze dell'ordine che entrano in azione solo dopo che la rissa è in uno stadio avanzato.Il risultato? Quattro feriti, molte botte per quelli del Blocco Studentesco, una ventina di ragazzi dell'estrema destra fermati e due persone arrestate, in perfetto stile bipartisan “una di qua e una di là”. Si tratta di un ragazzo, Michele Bauml, studente di destra, e Yassir Goretz, responsabile sicurezza del Prc. Una previsione, anzi un “sogno”che si avvera dato che la destra al governo non faceva altro che ripetere come gli studenti fossero fomentati da estremisti di sinistra! Per entrambi è stato convalidato l'arresto e saranno processati per direttissima, il primo per resistenza il secondo per lesioni e resistenza. Tanta la solidarietà a Yassir «presente ai disordini con l'unico fine di portare solidarietà a studenti e docenti pacifici» afferma il segretario di Rifondazione comunista Ferrero.Di «prove generali delle istruzioni date da Cossiga» parla invece Diliberto.

martedì 21 ottobre 2008

ADDIO COMPAGNO FOA e MILLE GRAZIE

Quando il mese scorso Vittorio ha compiuto 98 anni, il manifesto ha ripubblicato la frase finale della sua intervista a Loris Campetti del primo maggio del 2007: «...Ai giovani direi: pensate alla politica che è un pezzo decisivo nella vita delle persone, ma non è tutto. Allora pensate anche ad altro, e soprattutto pensate agli altri. Pensare agli altri è già una prospettiva di vita». L'intervista toccava il punto del concerto del sindacato in Piazza S. Giovanni a Roma. Non era forse un cedimento ai suoi occhi di vecchio organizzatore sindacale? Ma no diceva Vittorio, la musica dei giovani è molto importante; è felicità e vita. Vittorio che era quasi del tutto sordo e vedeva solo ombre, capiva e apprezzava un concerto rock meglio di tanti altri. Per lui del resto era facile: era giovane, anzi i giovani, generazione dopo generazione, erano sempre suoi coetanei.Da giovane, a 25 anni, era finito in carcere per due articoli pubblicati sui Quaderni di giustizia e libertà sull'Iri, la Stet e i poteri economici privati. Ogni 15 giorni, dal carcere, si poteva scrivere una lettera che passava per la censura prima di arrivare ai destinatari Le «Lettere dalla giovinezza di Vittorio», raccolte e ordinate da Federica Montevecchi, sono una straordinaria narrazione della vita del carcere, le letture, le speranze, la grande politica. Dal carcere, stretto nelle maglie della censura, questo ragazzo capiva gli avvenimenti e li riusciva a spiegare, con una punta di ironia, anche. Il fascismo, la guerra di conquista contro l'Etiopia, le leggi razziali, la guerra europea: tutto passa sotto la lente delle lettere dal carcere. Quando anni dopo - racconta Foa - qualcuno gli chiederà di aderire a un'associazione di perseguitati, egli si rifiuterà e alla sorpresa dell'interlocutore spiegherà che in realtà era lui ad avere perseguitato il fascismo, tanto che per difendersi lo avevano dovuto scaraventare in carcere. Difficile ricordarlo oggi, ma Vittorio era davvero capace di capovolgere, con allegria, sempre, i punti di vista e così liberava molte verità, quelle che nessuno osava dire. Intellettuale, cospiratore, prigioniero politico, capo della resistenza, costituente, deputato, senatore, uomo di partito, saggista, condirettore del manifesto, professore universitario, storico; tutto fatto con il massimo impegno, ogni volta. Vittorio però parlava di sé come organizzatore sindacale. Il sindacato era la sua vera missione: ufficio studi della Cgil, poi la Fiom - e a Torino dopo la sconfitta alla Fiat - e di nuovo al centro, con Giuseppe Di Vittorio e poi Agostino Novella nella segreteria della Cgil. Sono in molti a ricordare ancora quando Vittorio decise nel 1968 di non ripresentarsi in parlamento. I maggiori sindacalisti allora erano anche parlamentari, perché il mandato parlamentare li difendeva meglio. Il ricordo della dittatura era ancora recente. Inoltre i sindacalisti erano allora molto popolari e i partiti chiedevano con forza la loro presenza. In brevi anni, anche gli altri sindacalisti che pure l'avevano criticato, decisero che era giusto fare così e l'incompatibilità divenne regola generale. Ma l'unità sindacale che allora fu realizzata dai metalmeccanici, rimase per sempre un'aspirazione, sempre una meta lontana da raggiungere.Anno forte, il sessantotto. Su imitazione di quello che avveniva a Parigi, a Milano si occupò la Triennale, nella sera in cui arrivava per un discorso Serge Mallet, celebrato autore della «Nuova classe operaia». Fu lì che vidi la prima volta Vittorio in azione. L'avevo conosciuto la mattina, di quel giorno, nell'ufficio di Gastone Sclavi alla Cgil di Corso di Porta Vittoria. Mi era difficile accettare che una persona tanto importante facesse una cosa tanto irregolare, una tipica attività da lasciare ai giovani. Appunto. Vittorio, anche allora, ma lo ho capito dopo, era molto più giovane di me. Un'altra innovazione di Vittorio fu quella di andarsene dal sindacato una volta compiuti i sessanta anni. Questo accadde nel 1970. Non era più parlamentare, non era neppure sindacalista; il suo partito, il Psiup, soprattutto dopo i carri sovietici a Praga che Vittorio aveva avversato - tanto nella Cgil che nel partito - non era più un luogo per un lavoro politico; tanto più che il mondo, dopo il biennio 68-69 era cambiato parecchio. I giovani pretendevano altro. E come rinunciò per primo alla medaglietta parlamentare, così a sessant'anni, per primo, si cercò un lavoro. Cominciavano gli anni dell'Università, a Modena. Improvvisamente la facoltà di Modena «Economia e Commercio» divenne un punto di riferimento di tutto il pensiero non neoclassico. Tutto il nuovo passava di lì. Per una volta un'università italiana non si sentiva marginale e tutto sommato inutile. Vittorio era probabilmente il punto di riferimento, certo al di là della sua volontà,. Molti studiavano e scrivevano in funzione di quello che egli avrebbe detto o replicato. Era il maestro, se mai ce ne fu uno.Via da Modena, finita la stagione della politica, Vittorio che si candida e diventa deputato a Torino e Napoli per Democrazia proletaria, allora cartello disagiato delle nuove sinistre, ma con l'impegno a dimettersi subito, a favore di due subentranti. Poi gli anni della «Gerusalemme», forse il principale libro di storia di Vittorio, dedicata al movimento operaio inglese. Poi gli anni del silenzio, un biennio, a cavallo del 1980 in cui si è imposto di tacere; e naturalmente è un tempo adatto ad ascoltare gli altri.Poi gli anni recenti, tanti libri, Formia come porto tranquillo, ancora la Cgil all'ufficio studi, per cercare di capire l'involuzione del capitale, ancora il Parlamento. E un po' di pace, rotta da un turbinio di amici, conoscenti, parole, letture, discussioni. Un tempo sereno.Un tempo sereno di cui noi tutti che ne abbiamo approfittato dobbiamo ringraziare Sesa, la moglie di Vittorio; e Anna, Renzo, Bettina i figli di Vittorio e Lisa che hanno generosamente diviso con noi il prezioso tempo di Vittorio Foa.
"IL MANIFESTO - 20/10/2008"

Ora i padroni chiedono il risarcimento danni per sciopero. Chiesti 74 mila euro a tre sindacalisti

Offerte allettanti e prezzi stracciati, è questa la proposta dei discount Lidl, il colosso tedesco che conta circa 16 mila supermercati in 22 Paesi, fra cui l'Italia
Ma cosa c'è dietro l'enorme concorrenzialità e il risparmio per i consumatori? C'è una vera e propria filosofia, una strategia, di vessazione dei lavoratori e di salari da fame che il gruppo Lidl perpetra da anni. Carichi di lavoro estenuanti, straordinari non retribuiti, intimidazioni e controlli serrati, una pesante attività anti-sindacale sono i criteri di gestione del colosso tedesco per il quale più competitività equivale a meno diritti.L'ultima vergognosa mossa la Lidl l'ha fatta a Tento, denunciando il sindacalista della Filcams Cgil, Roland Caramelle, e due rappresentanti sindacali a seguito dello sciopero avvenuto il 20 settembre nel supermercato del capoluogo trentino. Se in molti Paesi la sindacalizzazione nei supermercati Lidl è molto bassa, in Germania solo il 5%, in Italia c'è una forte presenza sindacale in più del 20% dei punti vendita e i lavoratori sono stanchi dei continui soprusi nei loro confronti. A Trento la quasi totalità di lavoratrici e lavoratori del discount ha partecipato alla protesta e al presidio contro le continue vessazioni e l'arroganza dei dirigenti aziendali, comportamenti più volte denunciati ai vertici del gruppo Lidl, che però non hanno mai preso provvedimenti, probabilmente perché i dirigenti accusati dai lavoratori altro non fanno che eseguire le indicazioni dell'azienda. I maltrattamenti sono così evidenti che i lavoratori in sciopero hanno ricevuto la solidarietà dei consumatori che in quella giornata non hanno fatto acquisti nel supermercato, tanto che, se in media l'esercizio incassa 47 mila euro al giorno, il 20 settembre l'incasso è stato solo di 1800 euro!I rappresentanti sindacali raccontano che a Trento la maggioranza dei dipendenti sono assunti con contratti part-time, per un salario di circa 700 euro al mese e carichi di lavoro eccessivi. Nel supermercato si assiste a scene vergognose, aggressioni verbali e umiliazioni a danno dei dipendenti anche di fronte ai clienti, e poi “prove” di onestà, per cui nelle casse vengono messi soldi in più per vedere se i cassieri segnalano la cosa o intascano i contanti, insomma esempi eccellenti di mobbing. E come se non bastasse adesso la multinazionale tedesca vuole mettere anche in discussione il diritto allo sciopero, forse confortata dal fatto che in Italia già Confindustria e governo hanno dichiarato guerra aperta ai diritti dei lavoratori. La Lidl non solo ha denunciato un sindacalista Filcams e due delegate sindacali, dimenticando che, almeno per ora, la Costituzione italiana tutela il diritto allo sciopero, ma ha anche chiesto ai tre sindacalisti un risarcimento di ben 74 mila euro, senza per altro addurre motivazioni per tale, assurda, richiesta.Quello di Trento non è un episodio isolato, è solo uno dei tanti casi in cui ai lavoratori non vengono riconosciuti i propri diritti e deve essere un campanello importante d'allarme su quello che sta succedendo. Se, come i poteri forti stanno cercando di fare, viene messo in dubbio il valore della contrattazione e il diritto allo sciopero i lavoratori rimarranno sempre più isolati e meno tutelati, di fronte a datori di lavoro senza scrupoli.

venerdì 17 ottobre 2008

Saramago, “Un crimine (finanziario) contro l'umanità”

Un articolo del premio Nobel sulla crisi finanziaria e sui veri responsabili del crack mondiale


La storia è nota, e, nei tempi antichi in cui la scuola era perfetta educatrice, si insegnava ai bambini come esempio la modestia e la discrezione che ci avrebbero sempre dovuto accompagnare quando il diavolo ci avrebbe tentati nel parlare di ciò che non sappiamo o sappiamo poco e male. Potrei essere d'accordo con Apelle sul fatto che il ciabattino poteva notare un errore nella scarpa della figura che aveva dipinto, perché quello è il mestiere del calzolaio, però non avrebbe osato dare il proprio parere, per esempio, circa l'anatomia del ginocchio. In breve, un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto. A prima vista, Apelle aveva ragione, il maestro era lui, il pittore era lui, l'autorità era lui, mentre avrebbe chiamato il ciabattino per mettere le suole a un paio di stivali. Realmente, dove andremmo a finire se a chiunque, incluso il più ignorante di tutti, fosse consentito esprimere le proprie osservazioni su ciò che non sa? Se non hai le conoscenze necessarie è preferibile stare zitto e lasciare agli esperti la responsabilità di prendere le decisioni più conveniente (per chi?).Sì, a prima vista Apelle aveva ragione, ma solo a prima vista. Il pittore di Filippo e di Alessandro di Macedonia, considerato un genio nel suo tempo, ignorò un aspetto importante della questione: il ciabattino aveva le ginocchia, quindi, per definizione, aveva competenza in queste articolazioni, anche fosse solo a lamentarsi, se questo era il caso, dei dolori che sentiva. A questo punto, il lettore attento avrà già capito che non è di Apelle né del ciabattino che si parla in queste righe. Si tratta, sì, della gravissima crisi economica e finanziaria che sta sconvolgendo il mondo, al punto che non possiamo sfuggire alla dolorosa sensazione che stiamo per giungere alla fine di un'epoca senza che si possa immaginare cosa verrà in seguito, dopo un periodo intermedio, impossibile da prevedere prima che si tolgano le rovine e si aprano nuove strade. Come facciamo? Un'antica leggenda per spiegare le catastrofi di oggi? Perché no? Il calzolaio siamo noi, tutti noi, che assistiamo, impotenti, allo schiacciante avanzamento delle grandi potenze economiche e finanziarie, folli di conquistare più e più denaro, più e più potere, con tutti i mezzi, legali o illegali, a propria disposizione, puliti o sporchi, consueti o criminali.E Apelle? Apelle sono proprio i banchieri, i politici, le assicurazioni, i grandi speculatori che, con la complicità dei mezzi di comunicazione, hanno risposto negli ultimi 30 anni, quando timidamente protestavamo, con l'arroganza di qualcuno che si considera il titolare della verità ultima; vale a dire, sebbene ci facciano male le ginocchia, a noi non è permesso di parlarne, siamo stati ridicolizzati, siamo stati identificati come colpevoli di una condanna pubblica. Era il tempo dell'impero assoluto del Mercato, questa entità presuntuosamente auto riformabile e auto regolamentabile incaricata da un immutabile destino di organizzare e difendere per sempre la nostra felicità personale e collettiva, sebbene la realtà si fosse incaricata di smentirla ogni ora che passava.E ora? Finiranno finalmente i paradisi fiscali e i conti anonimi? Sarà inesorabilmente esaminata la fonte di enormi depositi bancari, dell'ingegneria finanziaria chiaramente criminale, degli investimenti neri che, in molti casi, non sono altro che massicce ripuliture di denaro sporco, denaro del narcotraffico? E poiché stiamo parlando di crimini: i cittadini avranno la soddisfazione di vedere perseguire e condannare quanti sono direttamente responsabili per il terremoto che scuote le nostre case, la vita delle nostre famiglie o il nostro lavoro? Chi risolve il problema dei disoccupati (non li ho contati, ma non ho alcun dubbio sul fatto che essi sono già milioni) vittime del crack e che rimarranno disoccupati per diversi mesi o anni, sopravvivendo di miseri sussidi dello Stato, mentre i grandi dirigenti e amministratori delle imprese deliberatamente condotte al fallimento guadagnano milioni e milioni di dollari, tutelati da contratti blindati che le autorità fiscali, pagate con il denaro dei contribuenti, fingono di ignorare?E l'attiva complicità dei governi, chi la indaga? Bush, quel prodotto maligno della natura in una delle sue peggiori ore, dirà che il suo piano ha salvato (salverà?) l'economia degli Stati Uniti, ma le domande alle quali vorrei che rispondesse stanno nella mente di tutti: non sapeva che cosa stava succedendo nelle lussuose sale riunioni in cui perfino il cinema non può entrare, e non solo entrare ma assistere all'assunzione di decisioni criminali sanzionabili da parte di tutti i codici penali del mondo? A che servono la CIA e l'FBI, oltre a decine di altre agenzie per la sicurezza nazionale che proliferano nella cosiddetta democrazia americana, quella in cui un turista, al suo ingresso nel paese, deve consegnare alla polizia il computer in modo che questa copi i rispettivi hard disk? Il signor Bush non si è reso conto che aveva il nemico in casa o al contrario, lo sapeva e non gli importava?Quello che sta accadendo è, in tutti i sensi, un crimine contro l'umanità e da questo punto di vista dovrebbe essere esaminato, sia in pubblico che nelle coscienze. Non esagero. Crimini contro l'umanità non sono solo il genocidio, l'etnicidio, i campi di morte, la tortura, gli assassinii mirati, le carestie deliberatamente provocate, l'inquinamento massiccio, l'umiliazione come mezzo di repressione delle identità delle vittime. Crimine contro l'umanità è quello che i poteri finanziari ed economici degli Stati Uniti, con la complicità tacita ed effettiva del loro governo, freddamente hanno perpetrato contro milioni di persone in tutto il mondo, sotto la minaccia di perdere il denaro rimasto dopo che, in molti casi (non dubito che siano milioni), hanno perso l'unica e scarsa fonte di rendimento, che è il loro posto di lavoro.I criminali sono conosciuti, hanno nomi e cognomi, si muovono in limousine quando vanno a giocare a golf, e sono così sicuri di se stessi che nemmeno pensano a nascondersi. Sono facili da sorprendere. Chi ha il coraggio di portare questa banda di fronte ai tribunali? Tutti gli saremmo grati. Sarebbe un segnale che non tutto è perduto per la gente onesta.




José SaramagoDal quotidiano spagnolo “Publico”, 17.10.08

martedì 14 ottobre 2008

Per i morti alla Thyssen i pm accusano: «Fu omicidio volontario»

Chiesta l'incriminazione di sei dirigenti e dell'azienda. E' la prima volta che accade in Italia



«Il rogo che ha causato la morte di 7 operai è frutto di una politica aziendale, tutti sapevano che nello stabilimento di Torino si correvano dei rischi». Queste le motivazioni con cui è stato chiesto il rinvio a giudizio
per omicidio volontario per sei dirigenti della Thyssen più la stessa multinazionale (nella veste di persona giuridica). Si è aperta così a Torino l'udienza preliminare per la strage della Thyssenkrupp. La pubblica accusa, attraverso gli elementi illustrati dal pm Francesca Traverso ha dimostrato come nel febbraio del 2007, qualche mese dopo il rogo che devastò uno stabilimento in Germania, la Thyssenkrupp convocò una riunione per parlare del problema incendi. Il problema sicurezza c'era, furono anche stanziati dei fondi ma non a Torino, infatti la sede stava per essere smantellata.A riprova della colpevolezza dell'azienda il memorandum interno sequestrato dalla guardia di finanza in cui spiccano frasi dei dirigenti dell'azienda contro la fabbrica torinese, i suoi sindacalisti e lo stesso magistrato Guariniello che ostenta «intransigenza» verso le industrie. Memorandum scritto dopo la strage la cui colpa viene addossata dalla Thyssen sugli stessi operai.«Il metodo di indagine adottato - ha replicato il magistrato Guariniello - ha permesso di rilevare che questo infortunio mortale non è il risultato di una scelta individuale ma di una politica aziendale».Molte le novità di questo processo tra cui il fatto che l'imputazione più grave, l'omicidio volontario con dolo eventuale, mossa all'ad Harald Espenhahn, potrebbe portare la causa per la prima volta in Italia per un incidente sul lavoro, in Corte d'Assise, come i delitti di mafia o terrorismo. Inoltre, come spiega Guariniello, «E' una novità la responsabilità della società. La legge invece che prevede il reato di omicidio volntario con dolo eventuale esiste invece dal 1930, ma è la prima volta che viene contestata nell'ambito di infortuni mortali sul lavoro».

domenica 12 ottobre 2008

giovedì 9 ottobre 2008

NON CHIAMATELI RAZZISTI...

"Milano sicura? Chi stamattina, intorno alle 8,25, si fosse trovato a transitare per i giardini di piazza Gerusalemme, magari per portare come ogni mattina i propri figli a scuola, avrà creduto per un momento di trovarsi sul set di un film poliziesco americano". E' quanto si legge nel volantino esposto fuori dalle scuole di via Mantegna dai genitori che hanno assistito all'episodio che ha coinvolto un genitore senegalese e alcuni agenti della polizia locale."La scena: un uomo di colore, molto alto, immobilizzato a terra - si legge - da cinque o sei agenti della polizia locale. Apparentemente, secondo la testimonianza dei numerosi genitori con bambini presenti, l'uomo non avrebbe risposto all'alt dei vigili (forse dopo aver lasciato la sua automobile in sosta vietata). Raggiunto da due agenti in prossimità dei giardini veniva invitato a fornire documenti o in alternativa a seguirli al comando in via Monviso. L'uomo protestava e chiedeva di lasciarlo prima accompagnare il bambino a scuola, cercando di proseguire il suo cammino nonostante l'opposizione fisica degli agenti, che nel frattempo venivano raggiunti da altri colleghi. Tutto questo - si sottolinea nel testo evidenziandolo in stampatello - con il bambino piccolo presente accanto al padre, fino a che una conoscente non lo prelevava per accompagnarlo a scuola. A questo punto davanti a numerosi bambini, sconvolti come ognuno può immaginare, questa persona veniva brutalmente immobilizzata a terra ed ammanettata"."Visto il degenerare della situazione - prosegue il volantino - numerosi tra noi genitori si avvicinavano agli agenti per protestare di fronte a un'azione che, se anche avesse avuto qualche giustificazione, appariva visibilmente sproporzionata e fuori luogo. Alcuni cittadini che avevano assistito all'episodio decidevano quindi di recarsi al vicino comando della polizia locale per parlare con il comandante, chiedere spiegazioni in merito, e ribadire che quanto avvenuto era da considerarsi del tutto inaccettabile dato il contesto in cui ci si trovava. In seguito alcuni di loro hanno rilasciato delle dichiarazioni che sono state messe a verbale. Il pericoloso genitore a quanto sembra verrà denunciato per resistenza a pubblico ufficiale".
"La Repubblica" (09 ottobre 2008)

A 41 anni dalla sua morte

Come tutti gli eroi, il Che combatte contro il mostro che affama e inghiotte la povera gente, compie imprese meravigliose che suscitano stupore e ammirazione, rinuncia, in nome di una giusta causa, alla tranquillità, per affrontare sacrifici e pericoli, acquista via una saggezza, una nobiltà e una forza d'animo che lo fanno apparire come un profeta e una guida.


È possibile ravvisare delle costanti antropologiche negli eroi, ma è certo che questi nel tempo hanno assunto spesso caratteristiche diverse. Il Che, ad esempio, non è un eroe classico perché non ha parentele con antenati divini.
Non è un eroe medievale perché non è fedele ad un re. Non è un eroe romantico perché la sua vita non è basata solo sullo spirito. Non è un eroe moderno perché la sua azione non si fonda sul sapere. È un eroe storico perché ha compiuto imprese documentate dagli uomini. È un eroe naturale perché simboleggia il sole che lotta contro l'oscurità. È un eroe morale perché rappresenta la lotta dell'uomo contro se stesso. È un eroe universale perché non lotta per la patria, ma per l'umanità. È un eroe tragico perché la sua nobiltà d'animo e i suoi ideali puri lo conducono ad una morte prematura. . Sul piano dell'etica, il Che somiglia più ad un santo che ad un eroe. Nessun altro individuo è riuscito ad incarnare in modo così completo ed esemplare la mentalità e la sensibilità dell'uomo cristiano. Egli appare come una figura ideale, modello di virtù superiori, emblema dell'amore disinteressato per l'umanità.
La sua figura crea gravi conflitti alle coscienze lacerate e inaridite dei suoi contemporanei, dai quali è nel contempo temuto e amato. Temuto perché rimprovera loro di vivere in un modo innaturale e perché mette in discussione l'ordine delle cose; amato perché combatte quelle norme che snaturano l'essere e mette in luce valori essenzialmente umani.
Il rivoluzionario argentino è un eroe epico e tragico, un esempio di speranza e di sconfitta. Il Che che, insieme alla sua gloriosa colonna ribelle, sconfigge i soldati di Batista a Santa Clara e che poco dopo arriva come un liberatore all'Avana, è un eroe epico. È tale perché i suoi ideali non sono legati alla morte, ma alla vita, perché dopo un lungo isolamento sulle montagne, ritorna nella società dove porta un soffio di fiducia e di felicità, perché al suo nome e a quello di altri compagni sono legate imprese eroiche e leggendarie, perché la rivoluzione cubana ha segnato un'epoca e si iscrive nella memoria storica come un evento grandioso. Il Che, isolato e braccato dai soldati di Barrientos nella foresta boliviana e colpito a morte nella scuola di Higueras, è un eroe tragico. È tale perché la sua vita è contrassegnata da un crescendo di sofferenze, perché consapevolmente va incontro al suo destino, perché insieme a lui muoiono i grandi ideali per cui si era battuto, perché la sua è una nobile morte.






LA MORTE



Ernesto Che Guevara viene fatto prigioniero l'8 ottobre del 1967 è portato nella scuola di La Higuera in cui rimane fino al 9 mattina; venne informato dell'arresto il Presidente della Bolivia, che alle nove di sera si reca dall'ambasciatore degli Stati Uniti a La Paz e alla sua presenza telefona a Washington: la risposta fu che il Che doveva morire e subito, perché costituiva un grave pericolo per gli interessi degli Stati Uniti e della Bolivia. I motivi? L'opinione pubblica internazionale si sarebbe potuta mobilitare, gruppi di comunisti fanatici avrebbero potuto cercare di liberarlo e la Bolivia si sarebbe agitata. Era preferibile la sua morte, la sua distruzione totale. Un duro colpo per Cuba e per i movimenti rivoluzionari dell'America Latina, dissero! Decisero quindi di ucciderlo. Félix Ramos era un traditore, di origine cubana, agente della Cia, e partecipò all'uccisione del Che. I testimoni dissero che quando cercarono d'interrogare il Che usando la violenza, fu proprio lui che gli strappò parte della barba. Il Comandante, come suo solito, si ribellò; gli legarono le mani prima davanti e poi dietro, e il Che sputò in faccia proprio a Félix Ramos. In una delle foto che gli fecero prima di ucciderlo, si vede chiaramente che una parte della sua famosa barba gli era stata strappata. Gli spararono all'una e dieci del giorno 9.
Nel pomeriggio il cadavere venne trasportato a Valle Grande nell'ospedale Señor de Malta, dove gli tagliarono le mani per permettere ai periti argentini di fare le prove dattiloscopiche. Gli agenti della Cia volevano tagliargli anche la bella testa per inviarla negli Stati Uniti, ma i medici di Valle Grande si opposero e il cadavere venne dapprima esposto a Valle Grande e poi sepolto in un luogo segreto, in una fossa comune, nei pressi dell'aeroporto di quella città.
Nel ventesimo anniversario della sua morte i giovani boliviani gli hanno fatto omaggio a La Higuera e hanno scoperto un busto alla sua memoria. Fra di loro c'era anche il figlio del militare che dirigeva la compagnia che aveva catturato il Che. Nel luogo dove l'avevano barbaramente ucciso, dentro e fuori dalla scuola, i contadini hanno collocato anche alcune pietre su cui accendono candele e mettono fiori. Nell'ospedale, uno dei lavoratori più anziani aveva conservato tutti gli strumenti con cui avevano fatto l'autopsia al Che: alcuni di questi oggetti si trovano oggi nel museo di Santa Clara a lui dedicato, e altri nel museo della Rivoluzione a La Habana. I boliviani hanno donato ai cubani anche la barella con cui il Che venne portato da La Higuera a Valle Grande. La barella era stata conservata dalla stessa persona che lo aveva accolto all'ospedale. In seguito, girò la voce che lo avessero cremato e disperse le ceneri, ma non era vero: la scomparsa del cadavere del Comandante ha accresciuto negli anni il mistero attorno alla figura del grande rivoluzionario. La località della sepoltura è rimasta sconosciuta fino a luglio del 1997, quando un gruppo di ricercatori ha identificato il cranio e alcune ossa del Comandante, sepolto in una fossa comune assieme a sette compañeros, a Valle Grande, circa 150 miglia a sud-est di Santa Cruz. Un ritrovamento reso possibile da Mario Vergas Salinas, un generale in pensione dell'esercito boliviano, che nel 1995 ha scelto di porre fine al silenzio imposto a riguardo della sepoltura del Che. E reso possibile anche grazie lalla testimonianza di Gustavo Villoldo, l'uomo che inseguì e catturò Guevara in Bolivia, e che ne ordinò la sepoltura segreta per evitare che i resti diventassero un monumento alla rivoluzione comunista cubana.






RITORNO "A CASA"




I resti del Che sono stati traslati a Cuba, più precisamente a Santa Clara: il 17 ottobre 1997 è stata una data memorabile per la città cubana, quasi un nuovo ingresso trionfale del Comandante: cori di bambini, 21 salve di cannone, picchetto d'onore e accensione di una fiamma perpetua sulla nuova tomba del Che da parte di Fidel Castro. Oltre centomila persone hanno visitato il nuovo mausoleo in cui sono conservati i resti del Comandante, nei soli primi due giorni di "ritorno a casa". Tra i visitatori più illustri, anche papa Giovanni Paolo II che, in occasione del recente e storico viaggio nell'isola caraibica, ha voluto rendere omaggio alla tomba del Che.
Così, dopo anni in cui si era creduto di tutto - dall'impossibilità di accettare la notizia dell'uccisione del Che, al trafugamento del suo corpo, alla cremazione dei resti, al lancio del corpo stesso da un elicottero in volo sulla foresta boliviana per evitare che fosse trovato - finalmente il Che ha avuto sepoltura certa a Santa Clara. E il mito continua.

Il "CHE"


"Quando saprai che sono mortonon pronunciare il mio nomeperché si fermerebbela morte e il riposo.Quando saprai che sono morto disillabe strane.Pronuncia fiore, ape,lagrima, pane, tempesta.Non lasciare che le tue labbra trovino le mie undici lettere.Ho sonno, ho amato, horaggiunto il silenzio".


“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. E’ la qualità più bella di un RIVOLUZIONARIO”

Che Guevara

mercoledì 8 ottobre 2008

Ogni 3 secondi muore un bambino sotto i 5 anni

La denuncia di Save the children, «queste morti si possono evitare»

Ogni 3 secondi muore un bambino con meno di 5 anni per cause che si possono evitare, questa è la terribile denuncia che Save the children lancia nel suo rapporto “Salvare vite in tempo di crisi”
Ogni anno, si legge nel rapporto, muoiono 10 milioni di bambini, il 99% dei quali vivono in paesi in via di sviluppo e le cause fondamentali di queste morti sono malaria, morbillo, Aids, diarrea e polmonite. Il rapporto “Salvare vite in tempi di crisi” riporta sì lo status dei bambini, ma anche mette in guardia circa l'impatto che potrebbe avere una possibile riduzione dei contributi per lo sviluppo, non solo da donatori privati e governi, ma da imprese e banche.Malattie come la malaria, il morbillo, l'Aids, la diarrea e la polmonite sono le cinque cause alla base del 90% dei decessi di questi bambini, la metà principalmente in sei paesi, India, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Pakistan e China.La prevenzione di molte di queste malattie è possibile con vaccini o materiali igienico-sanitari a basso costo, come ha illustrato nella sua relazione Mohedano Gesù Maria, di Save the Children, che si rammarica del fatto invece si guardi con rassegnazione a queste morti evitabili.I disastri naturale, fa ancora notare l'organizzazione umanitaria, si sono quadruplicati rispetto agli anni 70, per effetto dei cambiamenti climatici, che hanno determinato un considerevole aumento dei fenomeni migratori che hanno inciso sull'aumento di queste malattie. Senza poi dimenticare,inoltre, che l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari ha spinto 100 milioni di persone in una condizione di estrema povertà.

lunedì 6 ottobre 2008

Il razzismo in Italia non esiste... Mah...

Amina accusa la polizia di maltrattamenti. E Maroni si costituirà parte civile contro di lei
Ogni giorno c'è un atto di razzismo, ma per il governo è tutto normale
Per Roberto Maroni in Italia «non c'è emergenza razzismo», e per avvalorare questa tesi annuncia che chiederà un risarcimento danni e si costituirà parte civile nei confronti Amina Sheikh Said, la donna somala che ha denunciato di aver subito maltrattamenti ed ingiurie da agenti dalle Polaria all'aeroporto di Ciampino

domenica 5 ottobre 2008

La guerra del Ministro Brunetta

Mah... Forse è stato maltrattato da uno Statale da piccino...



ROMA. Il rinnovo del contratto degli statali rischia di innescare nuove, forti, tensioni tra governo e sindacati. Il ministro Renato Brunetta annunciando che i «tempi per chiudere entro l’anno ci sono e non sarebbe utile a nessuno prorogare oltre» avverte che «soldi, oltre ai 3 miliardi previsti, non ce ne sono» e sarebbe inutile «fare una nuova sceneggiata tipo Alitalia». Ma i sindacati che avevano ribadito che quella cifra è insufficiente, rinviano al mittente: «La politica degli ultimatum non porta da nessuna parte. Il governo - sottolinea Carlo Podda, segretario generale della Fp-Cgil - dia qualche disponibilità a modificare questa posizione apparentemente granitica» per evitare «un conflitto che sarebbe meglio risparmiare al paese», una «risposta anche molto più aspra di quelle che negli ultimi anni ci siamo abituati a vedere». Mentre nell’aria aleggia il fantasma di uno sciopero generale, paventato da Cgil, Cisl e Uil, Brunetta ha spiegato: «Soldi in più non ce ne sono. La Finanziaria ha stanziato questo: sta andando in Parlamento, prendere o lasciare, non ci sarà più balletto cifre e cambiamenti: siamo in una situazione di crisi stagnante per quest’anno e l’anno prossimo». Brunetta si dice così pronto a sollecitare l’Aran - la controparte della pubblica amministrazione - per una ripresa della trattativa già da ottobre. Le parole di Brunetta arrivano dopo la presa di posizione dei sindacati che avevano ribadito di giudicare insufficienti i 3 miliardi e confermato la mobilitazione già in corso.

29 Settembre 2008

Ultima data del Tour 2008 del GRANDE VASCO!!!

Si chiuderà con un grande concerto domani sera al Delle Alpi di Torino il tour di Vasco Rossi italiano iniziato il 29 maggio a Roma. Un tour che come al solito ha visto il tutto esaurito sugli spalti dei grandi stadi di Milano, Bologna, Ancona, Venezia, Salerno e Messina, oltre allo stadio Olimpico di Roma. Uno spettacolo che include brani storici e recenti successi del rocker di Zocca: da “La “Vita spericolata”, “Bollici ne”, “Sally”, “T’immagini”, alle canzoni dell'ultimo album “La vita che vorrei”. A Torino lo spettacolo sarà come sempre maestoso e ricco di effetti spettacolari con un palco 70 x 22 metri, alto 25 metri e con 1000 specchi convessi, 2 megaschermi ad altissima definizione, 1 gigantesco anello ellittico centrale sospeso in aria e 2 passerelle semi circolari laterali. Il tutto organizzato con 50 tir, 70 auto, 210 persone, 1 meteorologo, 2 manager, 4 router per le reti wireless, 100 pm, stampanti e plotters. Gli ultimi biglietti si possono trovare direttamente alle biglietterie dello stadio, aperte sia sabato che domenica a partire dalle ore 12.

Magico, grandissimo, inimitabile Vasco Rossi. Amato da generazioni

Grande Vasco. Il tempo passa per tutti, ma non per lui: almeno, non per la sua voce, sempre unica, inimitabile. Vasco canta con il respiro in gola, e trasmette emozioni ai giovanissimi ma anche a chi giovane ormai non lo è più.Il Vasco nazionale ha chiuso ieri il suo tour Vasco Live 2008: in uno Stadio delle Alpi stracolmo fin dal primo pomeriggio, erano presenti quasi 100mila fan.Per l'occasione, un allestimento mega galattico: scenografie da urlo ed effetti di luce di ultima generazione. Più di 70 persone hanno lavorato a questo: centinaia di specchi convessi riflettenti hanno permesso anche a chi era lontano dal palco, di vedere bene, da vicino, il suo cantante preferito. In uno Stadio delle Alpi stracolmo fin dal primo pomeriggio, Vasco Rossi ha chiuso il suo fortunatissimo tour Vasco Live 2008. Il mega allestimento, realizzato da più di 70 persone ha permesso a tutti, anche a chi era lontano dal palco, grazie a centinaia di specchi convessi riflettenti, di vedere bene, da vicino, il Vasco nazionale.
Per ascoltarlo in questo ultimo appuntamento con il suo pubblico, sono arrivati in centinaia anche dal sud Italia, in migliaia dal nord.
Ancora una volta l'evento si compie, lo stadio si riempie come un uovo e le note di Blasco fanno tremare i vetri delle case intorno allo stadio. Sicuramente per Vasco Torino deve avere un significato particolare: qui, nella città di Don Ciotti, di cui è amico da tanti anni, ha aperto diversi tour e quest'anno, con una doppia data ne chiude uno, quello del 2008, tra i più fortunati. E tutto questo in un momento in cui i concerti, anche quelli di vere star, cominciano a fare acqua per via delle tasche sempre più vuote di ragazzi e non solo. Tra il pubblico anche un'inattesa Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte, che prima del concerto ha consegnato al Blasco, nel suo camerino, una targa di riconoscimento, proprio per l'attaccamento dimostrato alla città di Torino.


Vasco Rossi ai fans in delirio: «La realtà ha superato il sogno»

«La realtà ha superato il sogno». Così Vasco Rossi ha ringraziato i suoi fans ieri sera nel primo dei due concerti torinesi allo stadio Delle Alpi. Vasco ha ribadito un concetto che già aveva manifestato nei giorni scorsi: che non pensa cioè di meritare tutto l’affetto che gli viene continuamente manifestato. Insomma si è stupito della portata del successo che accompagna questa sua lunga e ricca carriera. Erano più di 70 mila ieri sera allo stadio torinese, 30 le canzoni in programma. Saranno altrettanti questa sera, qualcuno sicuramente farà il bis. Vasco Rossi segna anche un momento di svolta per lo stadio Delle Alpi: il suo concerto di questa sera è l’ultimo evento prima della ristrutturazione, che durerà alcuni anni. Lo stadio era stato costruito in occasione dei Mondiali del 1990, quello delle notti magiche di Totò Schillaci.

sabato 4 ottobre 2008

Prima pietra per la Città della pace a Scanzano Jonico

La terra è stata benedetta con un rito maya alla presenza del premio Nobel Betty Williams...



Con un rito maya (consistente nella bruciatura di fiori e incenso) che si tramanda da tremila anni, durato oltre un’ora, sul terreno del “Campo base” di Terzo Cavone nel comune di Scanzano Jonico, si è svolta ieri mattina a partire dalle ore 11, la cerimonia di Benedizione della Terra. Proprio quella stessa terra che nel 2003 è stata oggetto della protesta popolare del popolo lucano per contrastare il progetto voluto dal governo Berlusconi, di realizzare un deposito nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari. Da quella protesta nacque allora l'idea di Betty Williams, premio Nobel per la Pace 1976, di destinare il terreno di Terzo Cavone al progetto della Città della Pace per i Bambini in Basilicata, sogno ormai realizzato. Alla cerimonia hanno preso parte rappresentanti di molte confessioni religiose presenti in Italia, a simboleggiare che la Città della Pace per i Bambini in Basilicata non avrà barriere o distinzioni di sorta. Tra questi, il vescovo di Matera, monsignor Salvatore Ligorio, l’allora parroco “antiscorie” don Filippo Lombardi, i sacerdoti maya Pedro Yac e Maria Faviana Cochoy, un rappresentante della religione buddista tibetana, delegato dal Dalai Lama ed un rappresentante della comunità ebraica in Italia. Betty Williams è arrivata insieme alla pacifista gatemalteca Rigoberta Menchu Tum, anche lei Premio Nobel per la Pace, ovviamente, nel 1992. Entrambe hanno portato la loro esperienza tra i giovani presenti in massa, tra cui molte scolaresche, con l'obiettivo riuscito di coinvolgerli nella realizzazione del progetto della Città della Pace. Perchè, come dichiara senza sosta Betty Williams: "La pace è una responsabilità di tutti e un’arte che può essere insegnata.” Il progetto è stato finanziato con quattro milioni e mezzo di euro dalla Regione Basilicata e servirà ad accogliere bambini vittime di guerre e altre calamità. “Noi crediamo che la Pace – ha detto
Betty Williams - sia molto di più che l’assenza dei conflitti armati. La Pace è impegno per l’eguaglianza e la giustizia; un mondo democratico libero da violenze di natura fisica, economica, culturale, politica, religiosa, sessuale e ambientale e dalla costante minaccia di tutte queste forme di violenza contro le donne e di fatto contro tutta l’umanità. E’ compito profondamente sentito di noi donne nobel affrontare e prevenire le radici della violenza mettendo in luce e sostenendo gli sforzi degli attivisti per i diritti umani, delle donne, dei ricercatori e delle organizzazioni che – ha concluso - si adoperano per far progredire la Pace, la giustizia e l’eguaglianza.”Pierantonio Lutrelli(da Il Quotidiano della Basilicata)

ULTIMO DISCORSO DI BERLINGUER - Padova 7 giugno 1984

FUNERALI DEL COMPAGNO BERLINGUER

giovedì 2 ottobre 2008

Giornata Mondiale della nonviolenza: assicurare i diritti umani

Giovedì, 02 ottobre, 2008

Si celebra oggi, 2 ottobre, la 'Giornata internazionale della nonviolenza'. Istituita dall''Onu lo scorso anno, la giornata - che ricorre nell'anniversario della nascita del Mahatma Gandhi - intende "promuovere una cultura della pace, della tolleranza, della comprensione e della nonviolenza". "L’ispirazione che ci viene dal Mahatma Gandhi è oggi necessaria più che mai" - evidenziava il Segretario Generale dell'Onu, Ban Ki-Moon lo scorso anno inaugurando le celebrazioni della giornata. Nel suo messaggio per la Giornata odierna Ban Ki-Moon sottolinea lo "speciale significato" della ricorrenza quest'anno in cui si celebra il 60° anniversario della 'Dichiarazione Universale dei diritti umani'. "C'è un profondo filosofico legame tra i principi fondamentali dei diritti umani racchiusi nella Dichiarazione Universale e quelli praticati dal Mahatma Gandhi" - afferma Ban Ki-Moon mettendo in risalto che "la risposta per il Mahatma Gandhi è da trovarsi nell'agire" - cioè secondo le parole del Mahatma - "un'oncia di azione ha più valore di tonnellate di predicazione". "E' nostro impegno assicurare che i diritti proclamati nella Dichiarazione Universale diventino una realtà viva, che siano conosciuti, compresi e goduti da tutti e ovunque" - continua Ban Ki-Moon. Ricordando che "i diritti di troppi popoli sono tuttora violati il Segretario Generale dell'Onu conclude sottolineando che "proprio per questo l'eredità del Mahatma Gandhi è oggi più importante che mai". In occasione della Giornata ha preso il via il progetto "Interventi civili di pace", frutto di un coordinamento tra sette diversi soggetti della società civile italiana attivi nel campo dell’educazione alla pace e alla nonviolenza e dei diritti umani. Numerosi gli eventi e le manifestazioni nel mondo e anche in Italia: in particolare vanno ricordati quelli promossi e segnalati dal movimento Umanista che dal 17 al 19 ottobre celebrerà il Forum Umanista Europeo con il convegno "La forza della nonviolenza". A Firenze nell'ambito della campagna 'Il prossimo sono io' verranno esposte in Piazza della Signoria le centinaia foto di persone che si sono fatte fotografare per denunciare le "politiche della sicurezza" che colpiscono gruppi circoscritti e minoranze, finendo per negare i diritti di tutti. Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo presenta sul settimanale online "La nonviolenza è in cammino" diversi interventi di approfondimento e attualità sulla nonviolenza. "Antica come le montagne ma attualisssima, la nonviolenza" - afferma Michele Boato. In tempi di Irak, Afghanistan, Georgia, persecuzione dei rom, minaccia nucleare, ecc. ecc. la nonviolenza è un faro che ci deve guidare sia nelle nostre azioni, che nella valutazione di cio che succede nel mondo: stare dalla parte dei più deboli, dire la verità senza terrorismi di alcun genere, nella fiducia che anche il peggior "nemico" può cambiare, che la coscienza dei subalterni può ribellarsi, che la verità è rivoluzionaria. E' la forza della verità il cuore della nonviolenza così come Gandhi ce l'ha trasmessa, ma prima di lui Gesù Cristo, Ildeagarda da Bingen, Francesco e Chiara d'Assisi, Tolstoj, e una infinita processione di persone più o meno sconosciute, che ha difeso la terra, i poveri, i lebbrosi, gli extracomunitari. E' la nonviolenza il cuore del vero progresso, quello dei diritti, del ben-essere, della pace e della cooperazione". "Di fronte alla insidiosa e strisciante scia di violenza che serpeggia un po' ovunque non basta più sedersi a discutere sul da farsi. Bisogna agire, bisogna farsi sentire, bisogna non temere di far vedere che il popolo della nonviolenza esiste e resiste" - sottolinea suor Elisa Kidane nel suo intervento. "Nonviolenza, ce lo insegna Gandhi, non è latitanza dagli impegni sociali e politici. Di fronte alla insidiosa e strisciante scia di violenza che serpeggia un po' ovunque bisogna mettersi in marcia, avere il coraggio di camminare in mezzo alla gente, di entrare in tutti quei luoghi, quali la scuola, le università, le fabbriche, una volta fucine di cambi sociali in favore dei più deboli. Bisogna riappropriarsi dell'impegno morale di impedire che il male prevalga su questa nostra umanità, il cui unico sogno è di vivere dignitosamente. E' l'imperativo della nonviolenza. Sull'esempio di quelle miriadi di persone, in tutti i sud del mondo, che ogni mattina, nonostante il fardello che sono obbligate a portare sulle spalle, riprendono il cammino del coraggio e tracciano sentieri e mete per dare un volto nuovo a questa società, sazia di benessere e stanca di sognare". "Il ricordo del Mahatma Gandhi è ancora una volta occasione per accendere l'attenzione sulle tante violenze del nostro tempo; un'occasione per dire tanti no e un solo grande si': un'occasione per dire sì alla pace" - ribadisce Leoluca Orlando. "La pace è no alla guerra, ed è sì al rispetto della persona umana. Nonviolenza e pace si intrecciano vicendevolmente nel messaggio gandhiano in un tempo nel quale l'umanità si acquieta nel constatare e nel tentare di perseguire il no alla guerra, ma incapace di andare oltre, incapace di cogliere - come oggi ci ricordiamo di esser nostro dovere cogliere - l'obiettivo di vivere in un mondo senza violenze, senza guerre ma capace di vivere anche compiutamente il rispetto della persona umana, di ogni persona umana; il rispetto di quelli che sono - troppo volte mortificati - i diritti umani". [GB]